Questa mattina PepsiCo (Nasdaq : PEP) ha presentato al mercato i risultati del terzo trimestre. Il premarket ha accolto i numeri con un timido +1,20%, un segnale di cautela più che di entusiasmo. E non è difficile capire perché: dietro le cifre aggregate si nasconde un ritratto complesso di un colosso che sta navigando acque turbolente, cercando di mantenere la rotta mentre i consumi americani vacillano e le pressioni sui costi mordono.
Partiamo dai numeri che contano davvero. Il fatturato consolidato ha raggiunto 23,94 miliardi di dollari, con una crescita del 2,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A prima vista, un risultato che supera le attese degli analisti, ferme a 23,86 miliardi. Ma come spesso accade quando si analizzano le multinazionali, il diavolo si nasconde nei dettagli. La crescita organica dei ricavi – quella misura che ripulisce l’effetto delle acquisizioni, dismissioni e fluttuazioni valutarie – si è attestata a un modesto 1,3%, ben al di sotto delle aspettative del 2,2% e in decelerazione rispetto ai trimestri precedenti.
L’utile per azione diluito adjusted è arrivato a 2,29 dollari, superando di poco le previsioni di 2,26 dollari. Apparentemente una vittoria, ma guardiamo più da vicino: rispetto all’anno precedente, l’EPS core su base costante è sceso del 2%, trascinato giù da pressioni operative che hanno eroso i margini. Il margine operativo si è fermato al 14,9%, un dato che rimane sotto la soglia del 15% auspicata dagli analisti e che racconta una storia di costi crescenti e difficoltà nel trasferire i rincari ai consumatori.
Ma è quando scomponiamo i risultati per segmento che il quadro diventa davvero interessante, e preoccupante. Il Nord America, cuore pulsante dell’impero PepsiCo, sta mostrando evidenti segnali di affaticamento. PepsiCo Foods North America ha registrato ricavi pressoché piatti, con una crescita organica negativa del 3%, accompagnata da un calo dei volumi del 4%. Non è una sorpresa: i consumatori americani, stretti tra inflazione persistente e incertezza economica, stanno tagliando sugli snack e i prodotti confezionati. La divisione ha però ottenuto un risultato cruciale: il margine operativo core è migliorato rispetto al trimestre precedente, raggiungendo il 24,1% grazie a drastici tagli di costi. L’azienda ha ridotto del 7% la forza lavoro a tempo pieno nella divisione Frito-Lay e ha chiuso due stabilimenti, un segnale che la ristrutturazione annunciata non è solo sulla carta.
PepsiCo Beverages North America ha fatto leggermente meglio, con una crescita organica dei ricavi del 2%, spinta dalle bevande senza zucchero e dalle innovazioni come poppi, il brand di soda moderna con prebiotici acquisito di recente. Ma anche qui i volumi sono calati del 3%, penalizzati dall’uscita dal business dell’acqua confezionata in grande formato e da una domanda complessivamente debole. Il margine operativo core è sceso al 13,3%, schiacciato da costi della supply chain più elevati, principalmente legati all’approvvigionamento di materie prime globali e all’impatto di nuovi dazi. L’azienda stima che questi maggiori costi abbiano sottratto tre punti percentuali all’EPS core del trimestre, un colpo non da poco.
Il vero motore di crescita continua a essere il business internazionale, che ha contribuito a tenere a galla i numeri complessivi. La divisione International Beverages Franchise ha registrato una crescita organica dei ricavi del 6%, nonostante condizioni meteorologiche avverse in alcuni mercati chiave. L’EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa) ha mostrato una crescita del 5,5%, mentre l’America Latina e l’Asia Pacifico Foods hanno entrambe registrato aumenti a una cifra media. Questi mercati, dove PepsiCo sta investendo pesantemente in distribuzione e innovazione locale, rappresentano ormai il 40% del fatturato totale dell’azienda e continuano a crescere a ritmi superiori rispetto al Nord America.
Ma c’è un elefante nella stanza che non possiamo ignorare: l’impairment di 1,99 miliardi di dollari registrato nel trimestre, principalmente legato al brand Rockstar Energy. Questo è un segnale chiaro che alcune delle acquisizioni passate non stanno producendo i risultati sperati. La decisione di trasferire la proprietà di Rockstar a Celsius Holdings, mantenendo però la distribuzione dei brand energetici di Celsius (incluso Alani Nu), è un’ammissione implicita che PepsiCo non è riuscita a rivitalizzare il brand dopo l’acquisizione. Questa mossa fa parte di un più ampio riassetto del portfolio che include anche le acquisizioni di poppi, Siete (tortilla chips premium) e Sabra (hummus), puntando su segmenti più trendy e salutari.
Ora, cosa significa tutto questo per gli investitori? Nel breve periodo, il titolo probabilmente rimarrà in una fase di consolidamento. Il rialzo del premarket è incoraggiante ma contenuto, e riflette un mercato che apprezza gli sforzi di contenimento costi e la tenuta relativa dei risultati, ma che resta scettico sulla capacità di PepsiCo di riaccelerare la crescita organica. I volumi negativi in Nord America sono una preoccupazione seria, perché indicano che l’azienda sta perdendo terreno in termini di penetrazione del mercato, e recuperare quote attraverso il solo pricing power è sempre più difficile quando i consumatori sono sotto pressione.
La guidance confermata per il 2025 – crescita organica dei ricavi low-single digit e EPS core sostanzialmente piatto rispetto al 2024 – è un’arma a doppio taglio. Da un lato, dimostra che il management mantiene la disciplina e non sta vendendo sogni irrealizzabili. Dall’altro, conferma che quest’anno sarà di transizione, un anno in cui PepsiCo sta essenzialmente “resettando” la propria base operativa per ripartire in modo più efficiente. L’obiettivo dichiarato è chiaro: accelerare la crescita organica e migliorare i margini operativi attraverso innovazione, ottimizzazione del price pack architecture e, soprattutto, una drastica riduzione della base costi.
Il piano di ristrutturazione è ambizioso. L’azienda sta tagliando SKU (stock keeping units) in modo aggressivo – una riduzione del 35% dal 2022, con un ulteriore 15% previsto nel quarto trimestre – per semplificare la supply chain e migliorare l’esecuzione nei punti vendita. Sta automatizzando impianti, magazzini e centri di distribuzione. Sta consolidando la propria rete logistica. E sta sfruttando i Centri Globali di Competenza per standardizzare processi e ridurre le duplicazioni. Tutte iniziative giuste, ma che richiedono tempo per dispiegare i loro effetti.
La vera scommessa di PepsiCo è sull’innovazione. L’azienda sta lanciando una serie di nuovi prodotti che puntano su tre macro-trend: permissibilità (prodotti percepiti come più salutari), funzionalità (con benefici nutrizionali aggiunti) e convenienza. Pensiamo a Pepsi Prebiotic, Gatorade Lower Sugar, Muscle Milk senza aromi artificiali, Starbucks coffee & protein con 22 grammi di proteine, Propel Protein Water, Doritos e Cheetos “NKD” senza coloranti o aromi artificiali. Nel segmento snack, Lay’s e Tostitos stanno eliminando coloranti e aromi artificiali entro fine anno, con un restyling completo del packaging. Sun Chips, che già genera oltre 700 milioni di ricavi annui, viene posizionato come brand permissibile di punta, mentre Siete e Sabra ampliano la presenza nel segmento premium e salutare.
Questi lanci sono cruciali perché rappresentano il tentativo di PepsiCo di riposizionarsi in un mercato dove i consumatori – soprattutto i Millennials e la Gen Z – sono sempre più attenti a cosa mangiano e bevono. L’azienda ha capito che non può più contare solo sulla forza dei brand storici e sulla distribuzione capillare: deve offrire prodotti che rispondano alle nuove esigenze. La domanda è: arriverà in tempo? Perché nel frattempo i competitor, dai brand emergenti DTC (direct-to-consumer) fino ai giganti come Coca-Cola e Nestlé, si stanno muovendo nella stessa direzione.
Sul fronte del canale away-from-home, PepsiCo sta spingendo forte. Le partnership con catene di ristorazione (Taco Bell, Subway) e l’espansione in concerti, stadi e eventi sportivi stanno dando buoni frutti. Il formato “Walking Taco” – un’innovazione ispirata allo street food che permette di aggiungere proteine e condimenti direttamente nei sacchetti di patatine – sta crescendo a doppia cifra. L’accordo con Celsius per distribuire i loro energy drink (Celsius, Rockstar, Alani Nu) attraverso la rete PepsiCo è una mossa intelligente: anziché competere da sola in un segmento dove non eccelle, l’azienda monetizza la propria forza distributiva e lascia a Celsius il compito di far crescere i brand.
Ma torniamo alla domanda fondamentale: è il momento giusto per investire in PepsiCo? La risposta dipende dal vostro orizzonte temporale e dalla vostra tolleranza al rischio. Nel breve-medio periodo (6-12 mesi), il titolo probabilmente rimarrà range-bound, oscillando in una fascia di consolidamento. I catalizzatori positivi – miglioramento dei margini, lanci di nuovi prodotti, stabilizzazione dei volumi – impiegheranno alcuni trimestri per manifestarsi pienamente nei risultati finanziari. Nel frattempo, il mercato continuerà a monitorare attentamente i dati sui volumi in Nord America e l’evoluzione dei costi della supply chain.
Il dividendo resta un punto di forza: PepsiCo è un “Dividend King” con oltre 50 anni consecutivi di aumenti del dividendo, e il rendimento attuale è solido. Per gli investitori orientati al reddito, questo rappresenta un cuscinetto importante. Ma attenzione: se i volumi continueranno a deteriorarsi e i margini non miglioreranno come previsto, la capacità dell’azienda di sostenere aumenti consistenti del dividendo potrebbe essere messa alla prova.
Nel lungo periodo (3-5 anni), il caso d’investimento è più interessante. Se PepsiCo riuscirà davvero a trasformarsi – tagliando costi strutturali, riposizionando il portfolio verso prodotti più premium e salutari, catturando crescita nei mercati emergenti – il titolo potrebbe offrire un upside significativo. Il margine operativo target della divisione beverage Nord America è mid-teens (intorno al 15%), un miglioramento considerevole rispetto ai livelli attuali. Se l’azienda riuscisse a portare il business foods in Nord America a margini più elevati attraverso efficienza operativa e migliore mix di prodotto, e se il business internazionale continuerà a crescere a ritmi sostenuti, il profilo di redditività complessivo potrebbe espandersi in modo materiale.
C’è però un rischio che non va sottovalutato: l’eventualità che le pressioni strutturali sul consumo in Nord America non siano cicliche ma permanenti. Se i consumatori americani hanno davvero cambiato le loro abitudini in modo duraturo – privilegiando prodotti freschi, canali alternativi, marchi emergenti o semplicemente riducendo il consumo di snack e bevande confezionate – allora la sfida per PepsiCo diventa esistenziale. In questo scenario, anche i tagli di costi e l’innovazione potrebbero non bastare a compensare il declino strutturale dei volumi.
Un altro fattore da tenere d’occhio è la proposta di Elliott Management, il fondo attivista che ha suggerito a PepsiCo di separare il business beverage e di procedere con un rifranchising più aggressivo, cedendo gli impianti di imbottigliamento di proprietà a franchisee indipendenti. Questo modello – simile a quello già implementato da Coca-Cola – alleggerisce il bilancio e migliora i margini, ma riduce anche il controllo diretto sulla catena del valore. Per ora, il management ha risposto con le azioni (acquisizioni strategiche, ristrutturazioni, partnership come quella con Celsius) più che con le parole, ma la pressione degli azionisti per una trasformazione più radicale potrebbe aumentare se i risultati del 2026 non mostreranno una chiara svolta.
Guardando al grafico del titolo negli ultimi mesi, si nota una fase di lateralità dopo il forte rialzo di metà 2024. Il titolo ha oscillato tra i 135 e i 145 dollari, con momenti di pressione vendita seguiti da recuperi. Il premarket positivo di oggi suggerisce che il mercato non è scontento dei risultati, ma l’assenza di un rally deciso indica che serve di più per convincere gli investitori. I livelli chiave da monitorare sono i 143-145 dollari come resistenza e i 137-138 come supporto. Una rottura al rialzo richiederebbe probabilmente un catalizzatore esterno – per esempio, segnali di ripresa dei consumi americani o un’accelerazione visibile nei benefici della ristrutturazione – mentre una discesa sotto i 137 potrebbe aprire spazio a ulteriori ribassi.
In conclusione, PepsiCo è a un bivio. L’azienda sta facendo le mosse giuste – tagliare costi, innovare, riposizionare il portfolio, puntare sull’internazionale – ma i risultati di questa trasformazione non sono ancora pienamente visibili. Il terzo trimestre 2025 conferma che il percorso è accidentato: crescita tiepida, volumi negativi in Nord America, margini sotto pressione. Ma conferma anche che il management non è inerte, che la macchina operativa sta reagendo e che i business internazionali offrono una via di fuga dalla stagnazione domestica.
Per l’investitore paziente, con un orizzonte di lungo periodo e la capacità di tollerare volatilità nel breve, PepsiCo potrebbe rappresentare un’opportunità interessante, soprattutto considerando il dividendo e la solidità del brand portfolio. Ma chi cerca crescita rapida e multipli in espansione farebbe meglio a guardare altrove: questo è un titolo da recovery play strutturale, non da momentum. La scommessa è che il colosso di Purchase, New York, riesca a ritrovare la propria forma migliore, quella che per decenni lo ha reso un pilastro dei portafogli value e income. La risposta arriverà nei prossimi trimestri, quando vedremo se le iniziative sul campo si tradurranno in numeri convincenti. Per ora, Wall Street osserva, e aspetta.
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