Europa

La settimana dal 13 al 17 ottobre ha riservato un finale drammatico per i mercati europei, con il venerdì che ha visto gli indici precipitare sotto il peso delle preoccupazioni provenienti dall’altra sponda dell’Atlantico. Una settimana che era iniziata con cauto ottimismo si è trasformata in una corsa verso gli asset rifugio, mentre gli investitori digerivano le implicazioni di una potenziale crisi nel settore bancario regionale statunitense.

Lo STOXX Europe 600 ha chiuso la settimana con un calo dello 0,33%, attestandosi a 549,84 punti dopo aver toccato livelli più alti a metà settimana. Lunedì l’indice aveva guadagnato lo 0,4%, sostenuto dal rimbalzo dei titoli minerari in risposta alle nuove tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina sulle terre rare. Tuttavia, la seduta di venerdì ha visto perdite fino all’1-2% che hanno cancellato gran parte dei guadagni accumulati.

Il FTSE MIB italiano ha mostrato una volatilità pronunciata, chiudendo giovedì con un guadagno dell’1,12% prima di crollare venerdì con una perdita dell’1,5%, terminando la settimana intorno ai 39.950 punti. I titoli bancari hanno subito pressioni particolari, con UniCredit tra i peggiori performer, mentre sul fronte opposto Campari e Stellantis hanno mostrato una certa resilienza.

Il DAX tedesco ha registrato una flessione settimanale dello 0,74%, chiudendo a 23.771 punti. L’indice ha mostrato una particolare sensibilità alle notizie provenienti dagli Stati Uniti, con venerdì che ha visto perdite dell’1,3% concentrate soprattutto sui titoli finanziari. Una nota positiva è arrivata da Continental, che ha guadagnato l’8% dopo che Deutsche Bank ha migliorato le raccomandazioni sulla società, evidenziando risultati del terzo trimestre migliori del previsto nel segmento pneumatici.

Il CAC 40 francese ha chiuso la settimana con un calo dello 0,14% a 7.765 punti, ma non senza momenti di forte volatilità. Mercoledì l’indice aveva registrato un balzo del 2%, il più alto guadagno giornaliero da maggio, trascinato al rialzo dal settore del lusso. LVMH aveva guadagnato il 12,2% in una singola seduta, con Christian Dior in crescita di quasi il 12%, mentre Kering aveva aggiunto il 4,8%. Questo rally improvviso nel lusso aveva momentaneamente fatto dimenticare le preoccupazioni sulla crescita economica, ma il venerdì nero ha riportato tutti con i piedi per terra.

Il FTSE 100 britannico si è dimostrato il più resiliente tra i principali indici europei, guadagnando lo 0,23% per la settimana. Tuttavia, anche Londra non è stata immune dalla turbolenza di fine settimana, con venerdì che ha visto pressioni sui titoli finanziari e industriali.

FTSE MIB INDEX :
DAX INDEX :
CAC INDEX :
FTSE UK INDEX :

L’evento macroeconomico chiave della settimana è stata la pubblicazione dei dati definitivi sull’inflazione nell’Eurozona. Il dato di settembre ha confermato un’inflazione complessiva al 2,2% su base annua, in rialzo rispetto al 2% di agosto, mentre l’inflazione core è rimasta stabile al 2,3%. L’aumento è stato principalmente dovuto al minore calo dei prezzi dell’energia, passato da -2% ad appena -0,4%.

Questi dati hanno rinforzato le aspettative che la Banca Centrale Europea possa mantenere un approccio prudente sui tassi d’interesse. Gli operatori di mercato attualmente non vedono un taglio dei tassi per il resto dell’anno, con solo il 35% di probabilità scontate per una sforbiciata nel 2026. La presidente Christine Lagarde aveva già dichiarato a fine settembre che i rischi sull’inflazione nell’Eurozona sono “piuttosto contenuti”, sia al ribasso che al rialzo.

Il mercato valutario ha mostrato una certa forza dell’euro, che si è apprezzato rispetto al dollaro toccando 1,0844, il massimo di quattro mesi. Questo movimento riflette le aspettative che la BCE possa essere meno accomodante di quanto previsto in precedenza, soprattutto se le tensioni commerciali dovessero continuare a influenzare negativamente l’economia europea.

Il vero colpo per i mercati europei è arrivato venerdì con le notizie provenienti dagli Stati Uniti. I segnali negativi sulla qualità dei portafogli prestiti di alcune banche regionali americane, tra cui Zions, Jefferies e Western Alliance, hanno scatenato un’ondata di avversione al rischio globale. Gli investitori si sono improvvisamente ricordati che, nonostante la narrativa ottimistica degli ultimi mesi, esistono vulnerabilità sistemiche che potrebbero manifestarsi in modo improvviso.

Il settore bancario europeo ha risentito pesantemente di queste preoccupazioni, con i titoli finanziari che hanno guidato i ribassi in tutte le principali piazze. La memoria della crisi bancaria regionale americana del 2023 è ancora fresca, e qualsiasi segnale di stress in quel settore viene immediatamente amplificato sui mercati globali.

Sul fronte industriale, le imprese europee continuano a navigare in acque agitate. L’incertezza sui dazi commerciali, che sembrava essersi attenuata nelle settimane precedenti, è tornata prepotentemente in primo piano con le nuove tensioni tra Stati Uniti e Cina sulle terre rare. Le aziende europee, già alle prese con costi energetici elevati e una domanda interna debole, si trovano ora a dover fare i conti anche con potenziali interruzioni nelle catene di approvvigionamento di materiali critici.

Il settore automobilistico ha mostrato segnali contrastanti. Mentre Continental ha beneficiato di una revisione al rialzo delle previsioni da parte degli analisti, altri produttori hanno continuato a soffrire per la debolezza della domanda e le sfide competitive, particolarmente acute nel segmento dei veicoli elettrici dove la concorrenza cinese rimane agguerrita.

Guardando alla settimana che inizia il 21 ottobre, gli investitori dovranno monitorare attentamente l’evolversi della situazione nel settore bancario statunitense. Qualsiasi ulteriore deterioramento potrebbe innescare nuove ondate di vendite sui mercati europei. Al contrario, segnali di stabilizzazione potrebbero offrire un’opportunità di rimbalzo, specialmente per quei titoli che hanno sofferto di più nelle vendite di venerdì.

La stagione delle trimestrali europee entrerà nel vivo nelle prossime settimane, offrendo agli investitori una visione più chiara sullo stato di salute delle aziende del continente. Le aspettative sono miste, con il settore dei servizi che dovrebbe continuare a mostrare una certa resilienza, mentre il manifatturiero potrebbe deludere a causa della persistente debolezza della domanda.

Sul fronte valutario, la forza dell’euro potrebbe rappresentare un’arma a doppio taglio: da un lato segnala una maggiore fiducia nella tenuta dell’economia europea, dall’altro potrebbe pesare sulla competitività delle esportazioni. Le aziende più esposte ai mercati internazionali dovranno gestire con attenzione questo nuovo equilibrio.

In questo contesto, una strategia di investimento prudente sembra la più appropriata. I titoli difensivi e quelli con forte generazione di cassa potrebbero offrire maggiore protezione in caso di ulteriore volatilità. Allo stesso tempo, i recenti ribassi potrebbero aver creato opportunità selettive su titoli di qualità che sono stati penalizzati più per contagio che per deterioramento dei fondamentali.

La settimana appena trascorsa ha ricordato agli investitori che, nonostante i mercati abbiano mostrato resilienza per buona parte dell’anno, le vulnerabilità rimangono sotto la superficie. La capacità di navigare questo ambiente richiederà disciplina, diversificazione e una costante attenzione ai segnali che arrivano tanto dai dati macroeconomici quanto dai bilanci aziendali.

Stati Uniti

Wall Street ha vissuto una settimana di montagne russe che ha messo a dura prova i nervi degli investitori più esperti. Una settimana che è iniziata con il forte rimbalzo dopo il crollo di venerdì 10 ottobre, quando il Nasdaq aveva perso il 3,56%, per poi concludersi con un venerdì caratterizzato da una volatilità estrema che ha lasciato gli indici in territorio positivo ma con gli investitori profondamente scossi.

Lo S&P 500 ha chiuso la settimana a 6.664 punti, con un guadagno complessivo dello 0,17%. Un numero che nasconde però una realtà ben più complessa. Lunedì 13 ottobre l’indice era esploso al rialzo con un +1,56%, toccando 6.655 punti, mentre giovedì aveva vissuto una giornata selvaggia in cui aveva guadagnato fino all’1,5% per poi chiudere in calo dello 0,2% dopo che il presidente Trump aveva rinnovato le critiche alla Cina in tarda serata.

Il Nasdaq Composite ha registrato la volatilità più estrema, chiudendo la settimana a 22.680 punti con un guadagno frazionale dello 0,52%. Lunedì aveva registrato un rimbalzo spettacolare del 2,21%, recuperando parte delle perdite del venerdì precedente, ma le sedute successive hanno visto continui cambi di direzione che hanno lasciato molti trader con il mal di testa.

Il Dow Jones Industrial Average ha mostrato una maggiore stabilità relativa, guadagnando l’1,02% per la settimana e chiudendo a 46.191 punti. Venerdì ha aggiunto lo 0,52%, sostenuto dai risultati stellari di American Express, che ha guadagnato il 7,37% dopo aver battuto ampiamente le aspettative del terzo trimestre con ricavi e utili superiori al consensus.

NASDAQ COMPOSITE :
DOW JONES INDUSTRIAL AVERAGE :
S&P 500 INDEX :

La vera storia della settimana è stata la stagione degli utili delle grandi banche americane, che ha inaugurato la tornata di trimestrali del terzo trimestre. JPMorgan ha aperto le danze martedì con risultati che hanno superato ogni aspettativa. La banca guidata da Jamie Dimon ha riportato ricavi per 46,43 miliardi di dollari, ben sopra i 45,25 miliardi attesi, e un utile per azione di 5,07 dollari contro i 4,83 previsti. L’utile netto è balzato del 12% a 14,4 miliardi di dollari.

Ciò che ha realmente impressionato è stata la revisione al rialzo delle previsioni sul reddito da interessi per l’intero 2025, portato a 95,8 miliardi di dollari da 95,5 miliardi. Questo ha confermato che, nonostante i tagli dei tassi della Federal Reserve, le banche riescono ancora a mantenere margini solidi. Tuttavia, il titolo JPMorgan ha reagito in modo controintuitivo, perdendo terreno dopo l’annuncio, un segnale che gli investitori avevano già scontato le buone notizie nelle settimane precedenti.

Goldman Sachs ha brillato con ricavi di 15,18 miliardi di dollari e un utile per azione di 12,25 dollari, entrambi ben superiori alle stime. Il settore trading ha performato eccezionalmente bene, con le entrate dal trading azionario che hanno stabilito nuovi record a 3,45 miliardi di dollari. L’investment banking ha continuato a beneficiare della ripresa delle attività di M&A e delle operazioni di capital markets. Il CEO David Solomon ha però lanciato un monito durante la conference call, parlando di “notevole euforia tra gli investitori” e ricordando che nella storia delle bolle tecnologiche ci sono sempre sia vincitori che perdenti.

Wells Fargo ha sorpreso positivamente con un utile netto di 5,59 miliardi di dollari, in crescita rispetto ai 5,11 miliardi dell’anno precedente, mentre Citigroup ha compiuto quella che molti hanno definito una “resurrezione”, passando da una perdita di 1,84 miliardi nel terzo trimestre 2024 a un utile di 2,86 miliardi. Il piano di ristrutturazione della CEO Jane Fraser sta chiaramente funzionando, con l’investment banking che ha registrato ricavi record di 925 milioni, in crescita del 35%.

Ma se le banche tradizionali hanno festeggiato, il settore tecnologico ha vissuto momenti di profonda angoscia, soprattutto a causa delle tensioni commerciali con la Cina che hanno continuato a dominare i titoli di giornale. Lunedì i mercati avevano aperto in forte calo dopo che la Cina aveva annunciato restrizioni più severe sulle esportazioni di terre rare durante il weekend, elementi critici per la produzione di chip, smartphone, auto elettriche e tecnologie militari.

Trump aveva risposto con minacce di dazi aggiuntivi del 100% sui prodotti cinesi a partire dal 1° novembre, portando il totale potenziale al 130% considerando il 30% già in vigore. La sua dichiarazione su Truth Social aveva scosso i mercati: “La Cina tiene il mondo prigioniero limitando l’accesso ai metalli e ai magneti utilizzati nell’elettronica”. Ha anche messo in dubbio l’incontro previsto con Xi Jinping per fine mese in Corea del Sud.

Questa escalation ha colpito duramente i titoli tecnologici. Oracle ha perso il 6,93% nella settimana, mentre le cosiddette “Magnifiche 7” hanno mostrato segni di debolezza. Nvidia, Apple, Amazon e Meta hanno tutte subito pressioni, con gli investitori sempre più preoccupati che le catene di approvvigionamento globali possano essere gravemente interrotte da una guerra commerciale totale tra le due superpotenze.

L’indice di volatilità VIX, noto come “indice della paura”, è balzato sopra quota 20 e vi è rimasto per tutta la settimana, un livello che storicamente separa un mercato tranquillo da uno turbolento. A metà settimana il VIX aveva toccato 21,8 punti, in crescita del 5,5%, segnalando che gli investitori stavano accumulando put options per proteggersi da ulteriori ribassi.

I dati macroeconomici hanno offerto un quadro misto. Da un lato, l’economia americana continua a mostrare resilienza, con il mercato del lavoro ancora relativamente robusto nonostante qualche segnale di rallentamento nell’occupazione. Dall’altro, i dati sul settore manifatturiero hanno destato preoccupazione, con alcuni indicatori che suggeriscono un possibile rallentamento nei prossimi mesi.

Le materie prime hanno vissuto movimenti drammatici. L’argento ha toccato un nuovo massimo storico sopra i 51 dollari l’oncia lunedì, guadagnando oltre il 2%, sostenuto dalle tensioni commerciali e dalla domanda di beni rifugio. L’oro ha stabilito un nuovo record a 4.280 dollari l’oncia, in crescita del 63% dall’inizio dell’anno, superando persino la performance del mercato azionario.

Sul fronte obbligazionario, i rendimenti dei Treasury sono scesi al 4,02% dopo la riapertura dei mercati post Columbus Day, riflettendo la fuga verso la sicurezza. Il dollaro è rimasto relativamente stabile, con il Dollar Index che ha oscillato senza una direzione chiara mentre gli investitori cercavano di bilanciare le preoccupazioni sulla guerra commerciale con la forza dell’economia americana.

Uno dei temi più discussi della settimana è stato il dibattito su una possibile bolla nei mercati azionari. I CEO delle grandi banche hanno tutti, in vari modi, espresso cautela. Jamie Dimon di JPMorgan ha dichiarato alla BBC di essere “più preoccupato di altri per una possibile correzione dei mercati azionari”. David Solomon di Goldman ha parlato di “notevole euforia” che ricorda altre fasi pre-bolla.

Questi commenti hanno risuonato particolarmente forte considerando che arrivano da leader che hanno una visione privilegiata sui flussi di capitale e sul sentiment degli investitori istituzionali. La loro cautela suggerisce che, nonostante i risultati trimestrali solidi, esistono preoccupazioni reali sulla sostenibilità delle valutazioni attuali.

Il settore dei semiconduttori ha continuato a essere sotto pressione, non solo per le tensioni sulle terre rare ma anche per i timori che la domanda di chip legati all’intelligenza artificiale possa non giustificare le valutazioni stratosferiche raggiunte. Broadcom ha fatto notizia con l’annuncio di un accordo con OpenAI che Citi ha stimato valere 100 miliardi di dollari per il produttore di chip, facendo balzare il titolo del 2%.

Guardando alla settimana che inizia il 21 ottobre, l’attenzione si sposterà sulla continuazione della stagione degli utili. Netflix pubblicherà i risultati lunedì dopo la chiusura, mentre Tesla seguirà martedì. Le aspettative per entrambe sono elevate ma cariche di incognite. Netflix deve dimostrare che i suoi investimenti in nuovi contenuti stanno pagando, mentre Tesla deve affrontare i timori sulla rimozione dei sussidi federali per le auto elettriche e sulla crescente concorrenza, specialmente in Cina dove le vendite sono quasi dimezzate a febbraio.

La grande settimana delle trimestrali tecnologiche arriverà alla fine del mese, con Microsoft, Alphabet e Meta che annunceranno tutti i risultati il 29 ottobre, seguiti da Apple il 30 ottobre. Questi risultati saranno cruciali per determinare se le valutazioni elevate del settore tech possono essere giustificate dai fondamentali o se siamo effettivamente in territorio di bolla.

Sul fronte geopolitico, la scadenza del 1° novembre per i dazi aggiuntivi sulla Cina incombe minacciosamente. Trump ha lasciato intendere che potrebbe esserci spazio per la diplomazia, ma le sue dichiarazioni erratiche continuano a creare incertezza. Un accordo dell’ultimo minuto potrebbe scatenare un rally significativo, mentre un’escalation potrebbe portare a vendite importanti.

La Federal Reserve rimane sullo sfondo, con quattro governatori che parleranno questa settimana e potrebbero offrire indizi sul percorso futuro dei tassi. Il mercato attualmente sconta una pausa a novembre, con possibili ulteriori tagli solo nel 2026, ma questo consenso potrebbe cambiare rapidamente se i dati economici dovessero sorprendere.

Per gli investitori, la settimana appena trascorsa ha fornito un chiaro promemoria che i mercati possono muoversi violentemente in entrambe le direzioni in tempi molto brevi. La capacità di mantenere la calma durante questi periodi di volatilità estrema è ciò che separa gli investitori di successo da quelli che cedono al panico. Allo stesso tempo, ignorare i segnali di allarme può essere altrettanto pericoloso.

La strategia più prudente sembra essere quella di mantenere un portafoglio bilanciato, con esposizione sia ai titoli growth che potrebbero continuare a beneficiare della rivoluzione dell’intelligenza artificiale, sia ai titoli value e difensivi che potrebbero offrire protezione in caso di correzione. La diversificazione geografica rimane cruciale, data l’incertezza sulla guerra commerciale.

Infine, è importante ricordare che, nonostante tutta la volatilità, l’economia americana sottostante rimane relativamente robusta. Le aziende continuano a generare profitti, il mercato del lavoro è ancora solido, e l’innovazione tecnologica procede a ritmo sostenuto. La domanda chiave è se i prezzi attuali delle azioni riflettono adeguatamente sia le opportunità che i rischi, o se siamo entrati in quel territorio pericoloso dove l’euforia prevale sulla razionalità.

Cina

I mercati azionari cinesi hanno vissuto una settimana particolarmente turbolenta, dominata dall’escalation della guerra commerciale con gli Stati Uniti e dalle preoccupazioni sulle terre rare che hanno scosso gli equilibri geopolitici globali. Una settimana che ha visto Pechino giocare la sua carta più forte nella disputa commerciale, rivelando al mondo quanto sia profonda la dipendenza dell’Occidente dalle sue catene di approvvigionamento.

Lo Shanghai Composite Index ha chiuso la settimana con un calo dell’1,95% a 3.840 punti, dopo aver toccato minimi significativi lunedì quando aveva perso l’1,15% nelle prime ore di contrattazione. Il CSI 300 Index ha mostrato una performance simile, scivolando sotto i 4.520 punti, mentre lo Shenzhen Component ha registrato perdite ancora più marcate.

SHANGHAI COMPOSITE INDEX :
CSI 300 INDEX :

L’11 ottobre, venerdì sera ora americana, la Cina aveva annunciato nuove e rigide restrizioni sulle esportazioni di terre rare, aggiungendo olmio, erbio, tulio, europio e itterbio alla lista di controllo esistente. Questi elementi sono fondamentali per la produzione di magneti permanenti utilizzati nei motori elettrici, nei sistemi di difesa, negli smartphone e in una miriade di altre applicazioni high-tech. Il messaggio era chiaro: la Cina controlla circa il 70% dell’estrazione mondiale di terre rare e il 90% della loro lavorazione, e non esita a usare questa leva strategica.

Le restrizioni entreranno in vigore il 1° dicembre, dando alle aziende globali pochissimo tempo per trovare alternative. Ma la vera novità è stata l’applicazione del principio di extraterritorialità, simile a quello che gli Stati Uniti hanno utilizzato contro Huawei. In pratica, la Cina si riserva il diritto di controllare l’uso di questi materiali anche dopo che hanno lasciato i suoi confini, creando un precedente potenzialmente dirompente per il commercio globale.

Trump aveva reagito con furia, definendo la mossa “estremamente ostile” e minacciando non solo dazi del 100%, ma anche “controlli sulle esportazioni di tutti i software critici”. La sua dichiarazione su Truth Social aveva lasciato pochi dubbi: “La Cina tiene il mondo prigioniero”. Ha anche messo in discussione l’utilità dell’incontro previsto con Xi Jinping al summit APEC in Corea del Sud, previsto per il 31 ottobre-1° novembre.

Martedì le acque sembravano calmarsi leggermente quando Trump, in modo tipicamente contraddittorio, aveva scritto su Truth Social che “le relazioni commerciali con la Cina andranno bene”, lasciando intendere un possibile incontro con Xi a breve. Questo cambio di tono aveva permesso ai mercati cinesi di recuperare parte delle perdite, con lo Shanghai che era risalito dello 0,6% e Hong Kong dell’1%.

Ma la tranquillità è durata poco. Il segretario al Tesoro americano Scott Bessent ha rilasciato un’intervista al Financial Times pubblicata martedì 14 ottobre in cui ha accusato duramente Pechino: “È il segnale di quanto la loro economia sia debole e di quanto vogliono trascinare tutti giù con sé”. Ha definito le restrizioni sulle terre rare “sproporzionate” e ha fatto capire che Washington stava preparando contromisure significative.

La guerra si è poi allargata ad altri fronti. Giovedì la Cina ha imposto nuove tasse portuali alle navi di proprietà o gestite da imprese americane, una risposta diretta alle indagini statunitensi contro le industrie cinesi. Il ministero dei Trasporti cinese ha annunciato 10 regolamenti attuativi che renderanno più costoso e complesso per le navi americane operare nei porti cinesi.

In parallelo, Pechino ha aperto indagini antitrust su Qualcomm e ha intensificato i controlli doganali sui chip Nvidia, mentre le esportazioni di terre rare sono crollate del 31% a settembre. Una strategia a più livelli dove regole, dazi e controlli tecnici diventano strumenti interscambiabili di pressione.

I settori più colpiti sui mercati azionari cinesi sono stati quelli legati all’export e alla tecnologia. Le aziende con forte esposizione ai mercati occidentali hanno visto le loro quotazioni scendere significativamente, mentre quelle focalizzate sul mercato domestico hanno mostrato maggiore resilienza.

Interessante notare che, nonostante le tensioni, i dati economici cinesi pubblicati durante la settimana hanno mostrato una certa tenuta. Le esportazioni di settembre sono aumentate dell’8,3% su base annua, superando le stime del 6% e registrando la crescita più forte da marzo. Anche le importazioni hanno sorpreso al rialzo con un +7,4%, ben oltre l’1,5% previsto, il ritmo più alto dall’aprile 2024.

Questi numeri suggeriscono che l’economia cinese sta beneficiando della diversificazione geografica dei suoi mercati di esportazione. Mentre le vendite verso gli Stati Uniti sono sotto pressione, Pechino ha incrementato significativamente l’export verso l’Europa e il sudest asiatico. Una strategia di “dirottamento dei flussi commerciali” che sta parzialmente mitigando l’impatto dei dazi americani.

Sul fronte delle materie prime, il rame è balzato di quasi il 4% lunedì, superando i 5 dollari per libbra, recuperando la maggior parte delle perdite di venerdì. L’argento ha toccato nuovi massimi storici sopra i 51 dollari l’oncia, beneficiando sia delle tensioni geopolitiche che della sua crescente importanza industriale, specialmente nel settore delle energie rinnovabili.

Il settore tecnologico ha vissuto momenti particolarmente difficili. Le aziende del STAR Market di Shanghai, il listino dedicato all’innovazione, hanno visto volatilità estrema. Da un lato, il governo continua a spingere sulla sostituzione delle importazioni e sull’autosufficienza tecnologica, dall’altro le restrizioni sulle esportazioni rendono più difficile per queste aziende accedere ai mercati globali.

Il settore finanziario ha fornito un sostegno relativo agli indici, con le banche principali che hanno mantenuto posizioni stabili grazie alla politica monetaria accomodante della Banca Popolare Cinese. L’istituto centrale ha continuato a fornire liquidità al sistema, cercando di sostenere la crescita economica senza creare pressioni inflazionistiche eccessive.

L’industria automobilistica cinese, particolarmente nel segmento dei veicoli elettrici, ha mostrato segnali contrastanti. I produttori domestici continuano a beneficiare del sostegno governativo e della crescente adozione interna, ma le esportazioni stanno incontrando ostacoli crescenti. L’Unione Europea ha già imposto dazi sui veicoli elettrici cinesi, e ulteriori restrizioni potrebbero arrivare se la guerra commerciale continua a intensificarsi.

Un aspetto particolarmente preoccupante per gli investitori è stata la reazione dei mercati alle dichiarazioni del ministero del Commercio cinese, che ha affermato che il paese è “pronto a combattere fino alla fine” la guerra commerciale con gli Stati Uniti. Questa retorica bellicosa ha ricordato i momenti più bui della prima guerra commerciale del 2018-2019, quando i mercati globali avevano sofferto perdite significative.

Gli analisti hanno notato che le azioni cinesi avevano raggiunto di recente massimi pluriennali, con il CSI 300 che era salito di quasi il 20% dall’inizio dell’anno fino al 9 ottobre, e l’Hang Seng che aveva guadagnato circa il 33% nello stesso periodo. Questo rally era stato alimentato dalle aspettative di ulteriori stimoli governativi e dall’afflusso di capitali esteri. Tuttavia, la possibilità che questo rally possa continuare dipende fortemente dalla stabilità geopolitica, specialmente sul fronte commerciale.

Sean Darby, chief global strategist di Mizuho Securities, ha commentato che l’incontro tra Trump e Xi Jinping “non è molto probabile” date le circostanze attuali. Questa valutazione ha pesato sul sentiment, considerando che molti investitori avevano prezzato nei loro portafogli la possibilità di una distensione.

Guardando alla settimana che inizia il 21 ottobre, l’attenzione sarà inevitabilmente focalizzata sulla possibilità di un incontro tra i due presidenti al summit APEC. La scadenza del 1° novembre per i dazi aggiuntivi del 100% si avvicina rapidamente, e con essa cresce l’urgenza di trovare una soluzione diplomatica.

Gli investitori dovranno anche monitorare i dati economici di ottobre, in particolare gli indicatori PMI e le statistiche sulla produzione industriale, che forniranno elementi per valutare la solidità della ripresa economica cinese. Questi dati saranno cruciali per capire se i mercati possono mantenere il momentum positivo indipendentemente dall’esito dei negoziati commerciali.

Le strategie di investimento per le prossime settimane dovranno necessariamente bilanciare l’ottimismo per un possibile accordo commerciale con la prudenza necessaria in caso di fallimento delle trattative. I settori meno esposti al commercio internazionale, come i servizi domestici, le utilities e le infrastrutture, potrebbero offrire opportunità di diversificazione del rischio.

Particolare attenzione dovrebbe essere rivolta ai titoli tecnologici che, pur avendo mostrato resilienza, rimangono vulnerabili a eventuali nuove restrizioni commerciali o tecnologiche. Le aziende del settore semiconductori, già sotto pressione per le limitazioni americane sulle esportazioni di tecnologia avanzata, potrebbero vedere ulteriori difficoltà se la situazione dovesse deteriorarsi.

Al contrario, le aziende con forte presenza nel mercato domestico e modelli di business meno dipendenti dalle esportazioni potrebbero rappresentare investimenti più stabili in questo contesto di incertezza. Il settore dei consumi interni, che ha beneficiato degli stimoli governativi e della crescita dei redditi reali, potrebbe continuare a offrire opportunità interessanti.

Il settore delle terre rare merita un’attenzione particolare. Paradossalmente, le restrizioni cinesi potrebbero favorire lo sviluppo di catene di approvvigionamento alternative in altri paesi. Aziende come Lynas Rare Earths in Australia, che è il maggior fornitore non cinese, e MP Materials negli Stati Uniti, che gestisce l’unica miniera attiva di terre rare in America, potrebbero beneficiare significativamente da questa situazione.

La volatilità nei mercati cinesi è destinata a rimanere elevata nelle prossime settimane. Gli investitori istituzionali hanno già iniziato a ridurre le loro posizioni più speculative, preferendo mantenere liquidità in attesa di maggiore chiarezza. Questo comportamento prudente suggerisce che molti operatori di mercato stanno prendendo sul serio i rischi di un’escalation.

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